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Da una crisi d’identità nasce il carisma del marketing




Nel 2020 l’AMA American Marketing Association ha dato questa definizione del marketing

“il marketing è una funzione organizzativa ed un insieme di processi per creare, comunicare, e fornire valore ai clienti e per la gestione delle relazioni con i clienti.”


Il marketing è una delle caratteristiche più importanti per le imprese che operano sui mercati: come osserva Brenkert (2008), grazie al marketing, le persone riescono ad avere a disposizione cibo, vestiti ed oggetti che usano quotidianamente, oppure riescono ad essere informati su altri prodotti o servizi da poter usare con meno frequenza.

La definizione pone però lo sguardo esclusivamente all’esterno, con il focus sulla parte commerciale.


Il marketing deve raccogliere dati, analizzarli, conoscere il mercato, targetizzare il segmento e anticipare i bisogni del suo consumatore, conoscere i temi ambientali, saperne di sostenibilità, e non essere green washing, essere esperto di content, social e digital marketing e deve occuparsi di responsabilità sociale, ecc.


E solo già quanto qui descritto è, di questi tempi, un’attività sempre più complessa (pandemia a parte o compresa) che invita decisamente il marketing ad una rilettura della propria funzione.

Serve sempre più specializzazione e integrazione tra nuove generazioni smart e generazioni senior con knowhow da trasferire.


Il marketing esce spesso dalle università impreparato al mondo del lavoro e affida, anche giustamente, alla propria attitudine ed esperienza maturata sul campo, le sue abilità e competenze.

Il prof. Carlo Alberto Pratesi, esperto di marketing e docente presso l’Università Roma Tre, una volta, durante una sua conferenza, disse:


il marketing, più del procurement, è in crisi di identità”.


Questa frase mi ha colpito in 2 sensi:

1. Avevo sempre pensato che erano gli acquisti ad essere più in difficoltà, perché la funzione sta necessariamente cambiando in azienda, in quanto è sempre più chiesto loro di essere portatori di valore e non solo tagliatori di costi

2. Che fortuna per il marketing potersi reinventare ed essere una nuova lente che osserva.

Ma lo sguardo oggi non può più essere solo esterno. La lente è bioculare. Il marketing oggi per fare meglio il suo lavoro, deve conoscere l’intera filiera del prodotto.


C’è un tema che oggi sembra mettere in discussione il marketing: l’autenticità.

Un concetto che, se riferito ad un oggetto, in via generale lo qualifica come vero, reale, genuino e non falsificato. In una società dove la simulazione, il virtuale, gli avatar sono indiscussi protagonisti, dove i social network creano sempre nuove tribù, in cui il face-to-face non è la regola ma l’eccezione, parlare di autenticità del marketing potrebbe sembrare anacronistico o provocatorio.


La tendenza, fino ad un recente passato, andava nella direzione opposta: l’iperbole, la finzione, la sofisticazione tecnologica, l’immagine, erano enfatizzate nella relazione con i consumatori, che stavano al gioco senza porsi troppi problemi sulla veridicità di quanto veniva loro proposto. Eppure ultimamente sembra realizzarsi una sorta di paradosso: più si è contornati dall’inautentico e più l’autenticità assume rilievo e diviene un valore, costituisce fonte di vantaggio competitivo per le aziende che si ritrovano a competere in un contesto postmoderno.

Il vessillo dell’autenticità non si guadagna con un maggiore grado di veridicità dell’offerta, quanto invece con una proiezione autentica ideale, coerente e funzionale alle caratteristiche di questo nuovo consumatore.


Ecco che il marketing che è sempre stato più orientato al servizio necessità di un nuovo orientamento al prodotto, è chiamato a conoscere la filiera sin dall’origine, ad essere sempre più consapevole delle difficoltà e delle materie prime utilizzate…in passato, al marketing di un’azienda di arredamento sapere le difficoltà e le caratteristiche dell’mdf o del laminato, o al marketing di un’azienda di passate di pomodoro, le difficoltà di derrattizzazione della terra dove venivano coltivati i pomodori non faceva parte del patrimonio del marketing.


Oggi aziende come Mutti, Orogel, The Body Shop giusto per fare qualche accenno, lavorano sulla corresponsabilità e la condivisione.

Per troppi anni si è pensato che la responsabilità sociale delle aziende andasse dimostrata mettendo in atto attività utili per la collettività, scelte in modo del tutto autonomo grazie alle quali controbilanciare gli eventuali effetti dannosi del proprio agire irresponsabile.

L’attuale crisi economica, scoppiata già qualche anno fa, gli scandali finanziari e le emergenze ambientali hanno dimostrato invece quanto sia superficiale parlare di responsabilità senza prima valutare se da parte dell’impresa vi sia reale consapevolezza di essere parte di un sistema più ampio; senza questa consapevolezza è difficile che le scelte aziendali, e quindi le azioni, possano avere impatto sociale ed essere testimonianza di un impegno.


Questo cambio di prospettiva, che inevitabilmente toglie centralità all’azienda e la riconduce all’interno di un sistema più complesso, non solo comporta una rivisitazione radicale di molti processi e strutture dell’organizzazione, ma determina anche una radicale evoluzione del management e in particolare del marketing.


Uno sforzo di tale importanza deve necessariamente basarsi su uno scambio ed un aiuto reciproco tra l’azienda e tutte le altri parti che con essa interagiscono, i cosiddetti stakeholder, perché senza un processo fondato sul dialogo e sull’ascolto è impossibile individuare le soluzioni migliori e trovare le motivazioni sufficienti a porle in essere. L’impegno è rilevante e richiede naturalmente forti investimenti organizzativi, ma tutto ciò risulta inevitabile per provare a travalicare i confini delle tradizionali funzioni aziendali e per cercare di raggiungere obiettivi di lungo periodo che concilino con gli obiettivi aziendali.


Ecco che quindi è fondamentale per l’impresa fare una classificazione e suddivisione in gruppi specifici di stakeholder interni, dove il marketing e il procurement diventano sempre più business partner al fine di permettere un approccio strategico, sistemico e consapevole nella gestione dei rapporti nei loro confronti tramite il coinvolgimento, il dialogo e l’informazione.

Su questa base solida e virtuosa, l’approccio digitale diventa un potente strumento per non disperdere l’operatività, restando concentrati sulla strategia.


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